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Quando la Sardegna è associata ai pastori, insomma, arrivano due immagini, tutte e due tremendamente sbagliate.
Non si vuole certo ammettere che alla Sardegna non debba essere associata una classe pastorale, ma è necessario capire perché la nostra terra è, ed è sempre stata, una terra pastorale, agricola, rurale.
Lontano dalle visioni comuni, negative o positive che siano - peraltro legate a un mondo che ci guarda dall'esterno e non a quello che dovremo pensare di noi stessi - sarebbe più opportuno parlare della Sardegna rurale, di quella produttiva, quella che può essere definita - questa volta con ragione - pastorale e agricola.
La struttura storica del territorio sardo, se ben osservato, villaggio per villaggio, deriva per intero dall'economia e dal sistema produttivo agro-pastorale. Fondamentalmente, possiamo anche dire che tutte le altre attività artigianali, che trovavano la loro localizzazione all'interno delle biddas, altro non erano che attività di supporto ai due motori dell'economia, della società e del paesaggio sardo: l'agricoltura e la pastorizia.
La centralità economica e sociale di queste attività, ovviamente, non poteva non influire sull'organizzazione spaziale dei territori e sulla loro struttura. Proprio la necessità di organizzare e conservare le risorse naturali, che erano alla base delle produzioni, ha portato alla definizione di aree produttive ben precise e tutt'oggi leggibili nei nostri territori. Questo metodo di "pianificazione" del territorio, ovviamente non è spuntato fuori da un momento all'altro, grazie alla mano di tecnici che prendevano decisioni su ampie aree da destinare a diversi utilizzi, ma si è venuto a formare nel tempo, attraverso le dinamiche dei pastori e dei contadini che, a loro volta, leggevano e interpretavano i cicli naturali direttamente sul territorio e sceglievano ciò che era meglio per la produttività del loro lavoro, cioè per le loro stesse vite.
L'esperienza lavorativa aveva fatto sì che i pastori e i contadini capissero che avevano bisogno di un sistema preciso e strutturato al fine di poter produrre anno dopo anno, seguendo la natura e l'ambiente naturale; col tempo, si venne a formare un sistema territoriale che garantiva la rigenerazione naturale delle risorse e, quindi, una produttività continua del lavoro delle comunità.
Proprio in virtù di questo sistema di produzione, oggi, all'interno di una pianificazione, sarebbe un errore grossolano considerare un centro abitato distaccato dal suo territorio; tuttavia non sono rari gli esempi che, specie dagli anni Settanta a oggi, hanno considerato il sistema urbano come una cosa a parte, pianificato come un centro abitato che - senza spiegarsi il reale perché - si trova in mezzo a ettari di pascolo, terreni agricoli e boschi.
Nella Sardegna rurale, bidda e foraidda (qui intese nell'accezione che ne dà Angioni, cioè il villaggio con il suo territorio di pertinenza) devono sempre essere tenute in primo piano, sono due realtà inscindibili che rientrano nella cultura sarda proprio per via della stretta relazione che esisteva - e ancora esiste - tra un comune e il suo territorio; esse rappresentano un legame inscindibile, senza una non poteva esistere l'altra, erano strettamente interdipendenti, lo sono tuttora. Bidda e foraidda erano la semplificazione di quella struttura territoriale agro-pastorale che aveva delle precise zonizzazioni, dettate dal lavoro di pastori e agricoltori nel corso degli anni.
Ma al di là del fatto che i pastori gestissero sos saltos e i contadini sos viddazzones e sos paberiles, chi governava la Sardegna - chi ha governato in tempi recenti e governa ancora -come si è comportato davanti a questi sistemi economici?
Sappiamo che nel 1353 (661 anni fa), otto anni dopo essere diventato giudice, Mariano IV procedette alla fondazione di un villaggio in uno dei territori che aveva amministrato da giovane; si tratta di Burgos, nel Goceano. L'atto di fondazione descrive accuratamente tutta la struttura che il villaggio doveva assumere nel centro abitato e nel territorio di pertinenza; questa struttura era rigorosamente ricalcata da quella degli altri villaggi del tempo.
In un sistema di governo come quello giudicale, che si basava su un'economia agro-pastorale, la produttività e la gestione delle risorse naturali era essenziale per la sopravvivenza dello stato e della nazione. Il sistema economico dei giudici, basato sul monopsonio (modello economico dove esisteva un solo acquirente dei surplus, cioè il giudice) non poteva permettersi una fondazione di una struttura produttiva mal funzionante, sarebbe stato completamente a discapito delle casse dello stato che, specie in quegli anni, dovevano sostenere grandissime spese. Da questo, quindi, si può capire come il governo scelse di contestualizzarsi con il territorio riconoscendo che le strutture che si erano create nel tempo erano quelle più adatte allo sviluppo delle comunità e alle loro produzioni. Una vera pianificazione rurale della Sardegna (non a caso, il Codice Rurale fu opera dello stesso Mariano) che le riconosceva l'immagine - questa volta reale e giustificata - di terra agricola e pastorale produttiva.
Eppure ancora oggi la Sardegna è una terra di pastori, ma cosa è cambiato? Possiamo dire che è cambiato il modo di vedere il territorio, di pensarlo e pianificarlo. Nuovi modelli di "sviluppo" sono stati calati sui territori sardi senza comprendere le reali necessità, le reali vocazioni dei territori stessi e delle comunità che, non solo li abitano, ma li hanno modificati e strutturati nel corso del tempo.
Processi di sviluppo industriale di dubbia efficacia, che adesso stanno mostrando tutto il loro fallimento, sono stati imposti a quelle stesse comunità che avevano dato alla Sardegna un sistema produttivo adatto al territorio, che non ne consumava le risorse fino all'osso. Tutto perché il confronto con le realtà locali era considerato inutile e i modelli esterni sempre più validi dei nostri senza considerare che se erano esterni e qui non avevano mai trovato sviluppo, un motivo doveva pur esserci.
In conclusione, quindi, sorge una domanda: se la Sardegna è una terra di pastori perché non progettare lo spazio rurale con l'ottica che le strutture territoriali sarde derivano dalla vita e dall'economia rurale?
Magari è possibile farlo studiando qualcuno che l'ha già fatto e che ha avuto successo.
Perché se proprio vogliamo misurare l'efficacia temporale delle pianificazioni della Sardegna, sos saltos sono ancora lì mentre Ottana chiude i battenti.
©R-Urbanlab_Sardigna