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Il tema del paesaggio è, soprattutto in questi giorni, al centro delle discussioni politiche sarde. Tuttavia il discorso non può semplicemente essere messo in chiave politica, e - in realtà, in questa sede - non vuole neanche essere messo su questo punto. Il discorso, più che altro vuole concentrarsi sulle questioni che riguardano il paesaggio, sulla sua gestione e la sua pianificazione, una pianificazione che si rivela sempre più fatta a tavolino, lontana dalle vere dinamiche che, per secoli, hanno curato foreste, coltivato campi, guidato le mandrie e le greggi. Ecco qui il reale discorso sul paesaggio e la società, anzi, sul paesaggio e le comunità. Il fatto che oggi esistano dei piani di tutela del paesaggio non significa per forza che siamo una società che ha a cuore l'aspetto del nostro territorio; forse, delle volte, emerge il fatto che non si ha l'idea chiara di come sia, e quindi sia stata, la forma del nostro territorio. Negli studi sulla pianificazione futura del paesaggio, delle sue unità e delle sue forme hanno sempre giocato un ruolo fondamentale le tutele, le protezioni, i vincoli; tutte azioni volte a conservare, mantenere come se il paesaggio che noi conosciamo fosse sempre stato statico, fosse arrivato a noi attraverso altrettanti vincoli, tutele, protezioni; con l'idea implicita che quello che vediamo noi oggi sia un qualcosa dato a priori, immodificabile adesso e mai modificato nel tempo. Una visione statica di qualcosa che statico non è, ma che è - ed è sempre stato - in continuo movimento, in continuo cambiamento. Soprattutto il paesaggio sardo, prevalentemente agricolo, modificato da pastori transumanti e agricoltori che gestivano, con le loro produzioni, territori strutturati in maniera definita, chiara, addirittura messa sotto un piano di fondazione nel lontano 1353, può essere definito in migliaia di modi, ma non statico, fermo. Ma se allora il paesaggio è arrivato a noi come processo dinamico, perché noi lo vogliamo conservare con staticità, immobilizzandolo in un'immagine che, a ben vedere non è la sua immagine?
Dal 1932 ad oggi l'estensione dei boschi della Sardegna si è triplicata, questa espansione ha conosciuto un aumento vertiginoso soprattutto dopo il 1974, in seguito ai piani che hanno ridotto l'attività pastorale, questo dovrebbe far riflettere sul fatto che, in questi anni, si è sempre più persa quella forza che aveva generato il paesaggio e quindi quello che osserviamo oggi è il risultato di altre azioni diverse da quelle storiche. Per cui se il vero obiettivo delle pianificazioni è tutelare il paesaggio sardo perché non potenziare la pastorizia estensiva? Perché non favorire le attività agricole tradizionali? Perché non trovare metodi che aiutino i pastori a transumare e ripristinare i pascoli dei nostri saltus? Perché non incentivare le produzioni cerealicole?
La questione, forse, può essere ridotta a un paragone che fa sorridere.
Se oggi fosse vivo il Botticelli, e io volessi restaurare la Primavera, Botticelli sarebbe il primo a cui mi rivolgerei.
I nostri pastori sono vivi, pronti, perché ignorarli?
©R-Urbanlab_Sardigna
Dal 1932 ad oggi l'estensione dei boschi della Sardegna si è triplicata, questa espansione ha conosciuto un aumento vertiginoso soprattutto dopo il 1974, in seguito ai piani che hanno ridotto l'attività pastorale, questo dovrebbe far riflettere sul fatto che, in questi anni, si è sempre più persa quella forza che aveva generato il paesaggio e quindi quello che osserviamo oggi è il risultato di altre azioni diverse da quelle storiche. Per cui se il vero obiettivo delle pianificazioni è tutelare il paesaggio sardo perché non potenziare la pastorizia estensiva? Perché non favorire le attività agricole tradizionali? Perché non trovare metodi che aiutino i pastori a transumare e ripristinare i pascoli dei nostri saltus? Perché non incentivare le produzioni cerealicole?
La questione, forse, può essere ridotta a un paragone che fa sorridere.
Se oggi fosse vivo il Botticelli, e io volessi restaurare la Primavera, Botticelli sarebbe il primo a cui mi rivolgerei.
I nostri pastori sono vivi, pronti, perché ignorarli?
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